Come fare a non parlare del nuovo Rebranding di Pomì? Ne stanno parlando tutti.
E soprattutto, come non fare i complimenti a un brand a me compaesano per quello che ha fatto nei suoi quarant’anni di storia?
Eh già, nel 2022 anche il Brand Pomì è entrato negli anta e vi garantisco che per un’azienda rimanere sulla cresta dell’onda per quarant’anni non è una cosa scontata.
Le capacità di questa azienda e di questo Brand quali sono state?
Sinceramente si possono identificare esattamente in 3 mosse:
1. Il Naming
Semplicemente geniale, facile, mnemonico, corto, esplicativo, vincente, funzionale verso la categoria e verso il consumer. Un nome in una categoria dove tutti i grandi player di mercato dicono il loro cognome (Mutti, Cirio, Petti, De Rica, Rodolfi, ecc.). Sicuramente la ricerca del naming è stata la prima fonte del successo di questo Brand.
Un Brand, di conseguenza naming, è per sempre. Se sbagli quello, spesso sei fuori dai giochi, ma se lo azzecchi e trovi un naming orecchiabile e che richiama immediatamente la categoria di appartenenza del segmento dei “rossi” (come viene chiamata in gergo), allora puoi tirare giù la slot machine. Non è facile in una categoria molto affollata, dove c’è molta competitività in scaffale, uscire dalla mischia con il nome: per Pomì è stata la prima mossa giusta.
2. Il Claim
Questa è la seconda mossa giusta nella storia di questo Brand. A mio avviso ancora più geniale e maggiormente vincente dello stesso naming. Sviluppare un claim o un Payoff con l’allitterazione e farlo funzionare come “bello e buono” o “senza né capo né coda”, è difficile. Quello che ha fatto Pomì con “O Così o Pomì” è semplicemente una magia e per alcuni addetti ai lavori, può essere considerato anche un miracolo come caso di successo. In questo caso l’allitterazione è quadrupla nella lettera “O” e doppia con l’accento sulla “ì” quindi ha un valore al cubo, non al quadrato.
Ci hanno provato in tanti, anche prima di Casalasco. Per esempio Saclà a fine anni sessanta con il carosello e il claim “Olivolì Olivolà. Oliva Saclà”: bello e funzionale ma non è la stessa cosa. Oppure “Ava, come lava”, o ancora “L’analcolico biondo che fa impazzire il mondo” o sempre per il Crodino “Dino, dammi un Crodino” e tra gli anni settanta e gli anni ottanta ne ho sentite di peggio come “Roventa, per chi non si accontenta”, “Altissima, Levissima, Purissima, oppure “Più lo mandi giù e più ti tira su” di Lavazza, fino ad arrivare a “Bene. Benagol” e “Cheres, c’è”.
Come puoi vedere, chi più chi meno, ci hanno provato un po’ tutti, comunque in tanti. Alcuni sono andati meglio, altri un disastro, ma il miracolo non è riuscito a nessuno. A Pomì sì. Quindi bravi, bravissimi.
3. Packaging
Pomì nel 1982, con questa mossa, fa scacco matto alla concorrenza. Un packaging vincente all’inizio degli anni ottanta dove in quel periodo storico, il TetraPak ha fatto la fortuna di tante altre realtà come il Tavernello oppure per Callisto Tanzi con il gruppo Parmalat. Sull’onda di quella filosofia di pensiero Pomì diventa subito un prodotto iconico grazie al packaging innovativo, il brick in cartone che lo rende riconoscibile, veloce, funzionale e differente rispetto a tutti gli altri concorrenti in scaffale.
Ecco fatto, ma arriviamo ai giorni nostri. Cioè al quarantesimo e al branding fresco, fresco di questa bellissima realtà.
Il Rebranding
Si sa bene che commentare è molto più semplice che fare. Il più delle volte mi sono trovato dall’altra parte a leggere commenti su progetti sviluppati da me, di persone che non avevano mai vissuto le riunioni con il cliente e magari alcuni di questi non avevano nemmeno le competenze per giudicare il progetto dal punto di vista tecnico o di marketing.
Per questo motivo la mia non vuole essere assolutamente una critica, ma una pura analisi verso un mondo che conosco discretamente bene. É un Rebranding pulito, semplice e anche impattante. Ma mi sono comunque posto delle domande, alle quali non trovato ho delle risposte.
Ho 4 domande su questo Rebranding
Il primo aspetto che viene da dire è che questo Rebranding era necessario, forse arrivato anche con un po’ di ritardo rispetto ai tempi che chiedeva il mercato. Il logo di Pomì è sempre stato un logo non logo. Cosa intendo dire? Nel periodo in cui è stato concepito sarà andato benissimo, ma un logotipo per essere funzionale deve avere poche caratteristiche ma ben chiare. In questo articolo le voglio sintetizzare in soli due punti:
- La leggibilità
- L’originbalità
Il primo aspetto, della leggibilità, è indiscutibile, ottimo, nulla da dire, ma sulla seconda parte, il lettering utilizzato per questo vecchio logo è sicuramente un font già visto e alla portata di tutti. Non ha delle particolarità differenzianti con delle caratteristiche uniche che possano dare l’originalità di cui necessita un logo. Se manca quella ricerca nel lettering, andrebbe arginata con una caratteristica unica e originale a livello grafico con la ricerca di un’icona. Questo aspetto manca sicuramente nell’immagine iniziale di quarant’anni fa.
È un dato di fatto. Prendiamo consapevolezza e andiamo avanti sul rebranding.
Ora, alla luce di questo, il restyling del logo, che è un aspetto molto delicato per qualsiasi azienda (e personalmente ne so qualcosa), andava sviluppato verso questa direzione.
1. Va bene perdere il verde sulla “ì”?
Ma la domanda mi sale spontanea. Se eravamo abbastanza vincolati sul lettering, e questo l’abbiamo capito, è giusto perdere o comunque smorzare l’unico vero elemento differenziante, cioè l’accento?
Quell’accento sulla “ì”, con il colore verde richiamava concettualmente una foglia di basilico, il picciolo del pomodoro, il prodotto naturale e la freschezza.
Inoltre, quel verde accompagnato dal bianco e dal rosso è sempre stato un elemento d’italianità.
2. Perché il tappo verde nel bricco e i filetti bianchi nella bottiglia?
Qui le domande realemente sono due e le spiego nel dettaglio: in questa famiglia di prodotti si trovano due tappi con colori differenti, nella bottiglia è bianco e nel bricco lo troviamo nella colorazione verde. Sempre sulla bottiglia troviamo due filetti nella head e nel footer dell’etichetta che eliminandoli si troverebbe una totale coordinazione con il bricco in total red.
Sinceramente ho cercato di darmi delle risposte ma non sono stato in grado di trovarle. Qui non si tratta del “mi piace, non mi piace o mi piace di più”, qui si tratta di coordinare una family brand, finalizzandola con un brand manual, con delle linee guida precise per dare continuità al progetto. Torno sempre alla premessa iniziale, che non vivendo la sala riunioni non ci è consentito sapere tutto, pertanto le vere motivazioni ci saranno e ci potrebbero essere.
3. Non c’è un nuovo stampo per la bottiglia di vetro?
Lo sappiamo, i dati parlano chiaro, in questa categoria è la passata di pomodoro che fa i valori e i volumi. Sappiamo altrettanto bene che le materie prime sono schizzate alle stelle e una di queste è sicuramente il vetro. Sappiamo anche che la funzione del Rebranding è quella di elevare la percezione del prodotto e differenziarlo dalla categoria rispetto agli altri player di mercato.
Pertanto il vasetto della passata è fondamentale tanto quanto il nuovo progetto in Tetra Gemina Aseptic, ovvero il bricco in cartone per capirci. Ora, per il motivo di cui sopra, non mi è consentito di sapere cosa è stato detto in sala riunione, ma se il logo con il suo font è stato rivisto (come si vede dalle immagini dell’etichetta) ,come mai sullo stampo della bottiglia troviamo ancora il logo vecchio? La domanda sorge spontanea. Questi sono dettagli molto importanti nell’ottica di un restyling di un brand.
In una categoria così affollata ,la structural design è fondamentale per rendere il prodotto differente rispetto a quelli che si trovano vicino a te sullo scaffale, in modo da far percepire al consumatore la tua unicità
4. Va bene il total red?
Uno dei primissimi aspetti prima di procedere allo sviluppo di un Packaging Positioning è quello del monitoraggio della concorrenza, nella stessa categoria di appartenenza.
Ora, fermo restando che ribadisco quello che ho scritto sopra, ovvero che è un Rebranding, pulito, semplice e anche impattante, la livrea total red, nella mia testa da consumatore in questa categoria, appartiene a Petti. C’era da differenziarla maggiormente con un elemento più unico, più riconoscibile, più originale che diventasse quasi un visual magnetico, che quando si approccia a quel tipo di prodotto possa essere riconducibile a Pomì e solo al Brand Pomì.
Sinceramente quello che so è che sviluppare un Rebranding non è una cosa semplice, ci vuole la doppia sensibilità. Quella della conoscenza del posizionamento del prodotto, ovvero dove si vuole andare, senza perdere un cliente storico continuativo, cioè mantenere la percezione del vecchio Brand sul mercato. Qui puoi trovare un Rebranding fatto con il metodo del Packaging Positioning nella categoria dei rossi.
Buon lavoro a tutti. Vi aspettiamo sui nostri mezzi e canali social, per nuovi casi studio e nuovi prodotti da scoprire.
Entra nel mondo del marketing nel 1996, nel 1999 ha fondato Ardigia Marketing Funzionale, nel 2013 fonda Packaging in Italy, l’agenzia di Pack dal Design italiano.